sabato 12 marzo 2016
Omaggio IV ed. 2015 - Siriana Sgavicchia - Pagliarani e il discorso amoroso della poesia
Della poesia
di Pagliarani si è soliti valorizzare il peculiare realismo di Cronache
e altre poesie (1954) e della Ragazza Carla (1960), e
lo sperimentalismo da Lezione di fisica (1968) a La ballata
di Rudi (1995), ma si può seguire anche il fil rouge dal suo discorso
amoroso.
Non è a un
orizzonte sentimentale e autobiografico che ci si riferisce, nonostante esso
possa essere rintracciato nelle poesie di Pagliarani come in quelle di ogni
poeta, ma al discorso amoroso come discorso sul linguaggio. In questo
contesto Esercizi platonici (1985) riveste un valore
inaspettatamente significativo, e in particolare per il ruolo che Pagliarani
assume come Maestro di poeti.
Negli Esercizi
platonici l’autore sembra proprio discutere questo suo ruolo di
Maestro mettendo in opera un laboratorio della scrittura e dello stile intorno
ai temi dell’amore e del piacere. Negli Esercizi sono
raccolti, infatti, frammenti dei dialoghi del Filebo e
del Simposio di Platone. Estratti dal contesto originale e
rimontati, i frammenti compongono un discorso nuovo in poesia e di poesia,
ironico e autoironico. Come Socrate, Pagliarani si veste a festa per discutere
da Maestro con i poeti, oltre che con i lettori. E non è un caso che la
raccolta sia stata scritta negli anni in cui l’autore di Lezione di
fisica teneva laboratori di poesia a Roma. Lo stesso suo
apprendistato, d’altronde, è segnato dal tema dell’amore nell’Inventario
privato (1959), i cui versi furono scritti contemporaneamente al
poemetto della Ragazza Carla che lo imporrà all’attenzione della
critica e dei lettori.
Alfredo
Giuliani recensendo Esercizi platonici ha notato che
«l’arguzia, il gioco ironico di Pagliarani risiede proprio nella finzione e
nella sfida di trasformare in poesia alcuni momenti del discorso platonico che
non sono “poetici”, per così dire», e ciò a maggior ragione se si tiene conto
del fatto che Platone non assegnava valore all’espressione poetica. Pagliarani
ricava, quindi, dalla filosofia delle poesie, indicando anche il metodo di
composizione del suo linguaggio, in cui materiali appartenenti a codici
eterogenei, e originariamente non poetici, vengono ricollocati nel discorso in
funzione straniante e come in una messa in scena di voci.
Per
gli Esercizi platonici è lo stesso Pagliarani a sottolineare
nella nota che accompagna il libro, quasi rivolgendosi direttamente ai più
giovani poeti con indicazioni operative, di essersi servito di una traduzione
dei Dialoghi non filologica (quella di Enrico Turolla),e per
un “esercizio” dello stile: «prigioniero del verso lungo, del verso a
fisarmonica spalancata, ho cercato di riacquistare facoltà di articolazione più
variegata (mi riferisco, per esempio al pedale sommesso di Inventario
privato). Quindi, non ho fatto che trascrivere e scandire il linguaggio colloquiale
di Platone». Allo stesso tempo Pagliarani è Maestro di ironia e di leggerezza,
tanto è vero che nel gioco degli Esercizi dichiara di avere
inserito solo tre sue parolette in altrettante poesie: oro, re,
ora.
Quel suo
trascrivere e scandire il linguaggio colloquiale di Platone, come esercizio del
ritmo, della struttura del discorso, della sintassi, allude ad una attenzione
alla misura – nella accezione anche musicale -; misura che non è in
contraddizione con l’esuberanza espressiva di opere come Lezione di
fisica o come La ballata di Rudi, in cui il sistema a
fisarmonica è solo apparentemente de-lirante, in realtà ottenuto grazie a una
straordinaria capacità di tenere il ritmo a partire dalle più piccole unità del
discorso e di moltiplicarne gli esiti in un movimento sinuoso come le onde di
un mare che non deve appassire.
Così,
nell’intermezzo di A spiaggia non ci sono colori della Ballata
di Rudi irrompe la danza erotica di Una che non ci sta e
subito dopo la scientifica riflessione sul peso, sul corpo, sulla «forza di
gravità che ci strappa il cordone ombelicale».
Un altro
confronto amoroso, non ballabile ma ritmico, è Lezione di fisica –
tra l’altro non è casuale che due dei più importanti poemetti di Pagliarani
abbiano come interlocutori-attori delle donne, Carla, la ragazza e Elena della
lezione in cui compare in controluce Silvia leopardiana («Elena oh le sudate
carte»). Nella Lezione di fisica il discorso amoroso è articolato
intorno ad una scienza metaforica, quella degli affetti-effetti della
radiazione del corpo nero di Planck e, insieme intorno allo straniamento
ironico e alla «gioia che mi dai quando ti stufi / di me, quando mi dici se
scriverai di me dirai di gioia/ e che sia gioia attiva, trionfante, che sia una
barzelletta spinta, magari».
La ricerca di
ampliare il linguaggio poetico, obiettivo esplicito del poeta, sta
nell’attraversare la semantica e la sintassi e la tonalità e il ritmo e i
generi stessi e nell’arricchirli sociologicamente inserendovi anche
contraddizioni, fra le quali il discorso amoroso come espressione di ciò che si
sottrae alla lingua e che la poesia, invece, include rinnovando le forme - il
poemetto è, secondo Pagliarani, un’«educazione sentimentale».
Inventario privato è, in questa prospettiva, il primo laboratorio della una nuova poesia
delle «svariate idee d’amore e di ingiustizia»: discorso aspro e disincantato,
esso contiene felici proposte per rifondare il discorso (amoroso) dei poeti
attraverso il piacere della lingua.
Ma lo
stimolo è più forte e se le forze
non
sono state lese alle radici
tu
dài un senso a tutta la mia vita
ai miei
passati anni milanesi
a questa primavera tempestiva.
Omaggio IV ed. 2015 - Giorgio Patrizi - I realismi di Pagliarani
Nella storia dello sperimentalismo
novecentesco, la poesia di Elio Pagliarani svolge il ruolo precipuo di una
ricerca rigorosa, che articola senza sosta le interrogazioni sulla natura della
poesia e del suo specifico linguaggio, dando al tema delle risposte, da un lato
diverse e ben rispondenti alle diverse fasi storico-culturali attraversate,
dall’altro costantemente riconducibili ad una serie di problemi di base della
riflessione metaletteraria. Sono pochi gli autori che con tanta
consequenzialità hanno attraversato i momenti diversi, se non contrastanti, che
hanno caratterizzato gli ultimi quarant’anni del secolo XX, muovendo dalla
sperimentazione degli anni Sessanta al confronto con la scrittura della tarda
modernità e della postmodernità degli anni Novanta. Peraltro confrontandosi con tutte le tensioni
culturali che si sono susseguite in questi decenni, con quelle forme epocali di
riformulazione dei codici di lettura della realtà che hanno impresso via via
svolte fondamentali al dibattito culturale.
I temi e i problemi a cui qui si vuole
alludere sono quelli che costituiscono la base del dibattito dei decenni in
questione: dalle culture del corpo e del rapporto di questo con le diverse sfere
della conoscenza e della comunicazione, quale fu definito negli anni del
femminismo e dell’antipsichiatria, alla riscoperta della cultura materiale come
tradizione capace di opporsi ai luoghi comuni della cultura alta. Dalle
scritture delle citazioni, nate, com’è noto in ambito postmoderno, ma elaborate
talora con modalità tali da potersi leggere in opposizione al citazionismo
ludico che caratterizzava il postmoderno stesso. Ed ancora il gioco della
riscrittura, interpretato come occasione di riflessione metapoetica e, più
genericamente, metaletteraria.
Di tutte queste modalità di intervento
sulla natura del testo e sulla sua funzionalità in prospettiva sia storica che
linguistica, Pagliarani dà una interpretazione di grandissima efficacia e
rigore, ponendosi come uno degli interpreti più
puntuali dei dibattiti vivacissimi di quegli anni. Per comprendere la
centralità della sua opera occorre partire da quel particolare approccio alle
tematiche dei Novissimi e della neoavanguardia testimoniato, ad esempio, da
Walter Siti in un suo intervento su Il realismo dell’avanguardia. In
quel saggio l’opera di Pagliarani era letta come una peculiare modalità di
approccio realistico all’universo della modernità avanzata, nello sforzo di
superare la tradizionale interpretazione del realismo come una specie “retorica
dell’oggettività”. Ed infatti, se leggiamo un poemetto come La ragazza Carla,
accanto, ad esempio, ai testi di altri due novissimi come Giuliani e
Sanguineti, non si può non scorgere la distanza tra il postsurrealismo degli
ultimi due e la narrazione in versi di Pagliarani. Ma se poi osserviamo la
specifica costruzione di questo testo, con gli intarsi di citazioni testuali di
diversa matrice (stampa, manuali professionali, manifesti pubblicitari, ecc.), possiamo
ricondurre tali strategie testuali alla poetica più tipica della
neoavanguardia, con i temi della deflagrazione dei codici istituzionali della
poesia, l’abolizione della centralità dell’io poetante, la costruzione di un
reticolo di materiali dati che vanno a comporre il testo, come esito della
cultura massmediatica o della doxa tipica di un determinato contesto
storico-sociale. Insomma il Pagliarani novissimo (e dunque non solo La
ragazza Carla, ma anche Il Fecaloro, per continuare con Lezione
di fisica ed altri testi collocabili tra gli anni Cinquanta e i Sessanta),
nei cui testi in cui si scandisce l’appassionato dialogo tra le motivazioni
biografiche e le “enciclopedie” della contemporaneità. Il realismo di
Pagliarani qui si nutre delle formule più viete degli stereotipi ideologici e
linguistici, i linguaggi della realtà massificata, gli idiomi del mondo
alienato del capitalismo avanzato, la crudezza dispotica del linguaggio dei
potenti e l’ingenuità di quello degli umili: insomma “realismo” equivale al
lavoro sui modi della comunicazione, verbale e non, sui testi che la cultura di
massa accumula nella quotidianità.
La tappa successiva è quella di
ricondurre questa operazione di smontaggio e rimontaggio –da cui scaturiva la
narrazione in versi della Ragazza Carla- ad una raffinata operazione
metaletteraria e metafilosofica. Assumendo ad oggetto della manipolazione
linguistica –certo suggerita dalle pratiche postmoderne, ma agli antipodi per
strategia espressiva ed antiideologica- scritture emblematiche di un’epoca e di
una cultura (Platone, Savonarola), Pagliarani interviene a smembrarne le
pagine, per poi ricostruirle con nuove funzioni enunciative. Ogni verso sembra
risuonare, con tutta la suggestione del vocabolario e dell’enciclopedia a cui
fa riferimento, ma anche con la forza evocativa di una verità che affiora dalle
parole, da asserzioni che ora risuonano irrelate e definitive. Ancora una volta
si afferma la prospettiva di un realismo che riconduce i linguaggi alla loro
natura di base, fatta di vissuti, sofferenti e scandalosamente eloquenti.
Una fase
ancora diversa – che si snoda attraverso decenni, con un testo continuamente
riscritto e ripensato- è quella testimoniata dalla Ballata di Nandi,
grande esempio di una poesia in cui s’intrecciano narrazione, voci basiche dei
protagonisti, impennate dei linguaggi che si organizzano con i ritmi via via
più eloquenti, ora ossessivi, ora smorzati in considerazioni malinconiche,
perfino gnomiche. E siamo ad un’ulteriore modalità del realismo di Pagliarani,
quella che sembra enfatizzare come nucleo irrinunciabile di ogni forma di
narrazione della realtà il racconto del corpo, del ritmo che attorno ad esso
acquistano quei gesti e quegli eventi di cui i corpi sono protagonisti.
Tutto
questo solo per alludere ad alcune chiavi che testimoniano la portata storica
del lavoro poetico di Pagliarani, il suo modo, appassionato e di grande rigore
etico, di coniugare ricerca linguistica e stilistica e impegno civile,
attenzione per gli umili e i vinti e per
i loro linguaggi.
Omaggio IV ed. 2015 - Francesco Muzzioli - Pagliarani, una poesia dell'impulso
Se la poesia è, come credo, un “modo di respirare”, questo
è tanto più vero nel caso di Elio Pagliarani. Dire che in lui è decisivo l’impulso non porta a sminuire il suo
lavoro su ciò che la poesia comunica, ma significa affermare che qualsiasi
contenuto, o materiale che sia, è trascinato e messo in campo da una forza che
distorce la forma, la deforma. E la
interrompe, anche. Ciò che giustifica la presenza di Pagliarani nel movimento
dell’avanguardia è il “principio di montaggio” che si sviluppa e si accentua
soprattutto nella fase di Lezione di
fisica, ma che è presente in tutto l’itinerario, precisamente nei cambi di
pedale del ritmo. Montaggio significa l’accostamento di materie semantiche
eterogenee e la perdita di fiducia nel buon canone classico dell’unità. Gli
elementi che compongono l’insieme non combaciano ma confliggono, per cui gli
scatti della polemica pubblica possono trovarsi vicino ai momenti
dell’“inventario privato”. Anche là dove Pagliarani si ripropone il poemetto,
come nella Ragazza Carla e nella Ballata di Rudi, è evidente l’aspetto
composito, che specialmente nel secondo caso è quello di un vero e proprio
“stato frammentario”, tanto che le parti potrebbero meglio essere denominate
“sezioni”. «Niente è più facile di questo ma io lo spezzo», scrive Pagliarani. L’impulso, per altro, determina uno sperimentalismo per niente
freddo, sospinto da un imperativo morale affatto particolare: morale del
rigore, morale del “principio di realtà”, morale impietosa, consistente
nell’affrontare l’incerto della vita senza illusionie senza compatimenti. Non
per nulla, l’impulso raggiunge
l’apice nell’invettiva, nello slancio polemico-epigrammatico, nella esplosione
della rabbia, e nei momenti – come mi è capitato di dire – in cui la citazione
diventa concitazione. Sicché la
“costruzione” poetica (che consiste nella consapevolezza della tradizione e del
genere letterario) è presa nella torsione, nella tensione espressionistica. E
il significato profondo risuona nel battere del ritmo.
Producendo un esempio fondamentale di vitalità poetica e di forte impatto.
Omaggio IV ed. 2015 - i Poeti che hanno scritto per Elio Pagliarani - la plaquette dedicata
Alla IV edizione del Progetto Omaggio dedicato a Elio Pagliarani hanno partecipato, con i lori testi inediti dedicati, i poeti:
Cetta Petrollo
Silvana Baroni, Tomaso Binga, Marco Caporali, Nadia Cavalera, Luigi Celi, Vilma Costantini, Luciana Gravina, Carlo Lei, Carlo Livia, Mario Lunetta, Fabio Orecchini, Tommaso Ottonieri, Marco Palladini, Elio Pecora, Plinio Perilli, Giulia Perroni, Lidia Riviello, Alberto Toni, Daniele Ventre.
I testi inediti sono stati pubblicati nella plaquette:
COME SE/NON AVESSE SENSO
Omaggio a Elio Pagliarani
a cura di Luciana Gravina
AltrEdizioni Casa Editrice
Progetto Omaggio 2015
Sez. Poesia, Collana Oro
Isbn: 9788890968716
Euro 5,00
Dalla nota della curatrice:
"Come se/non avesse senso pensare / che s'appassisce il mare, così la chiusa della Ballata di Rudi e il suo contrario nell'ultimo verso del IX capitolo (A tratta si tirano) E invece ha senso pensare che si appassisca il mare, in questa apparente contraddizione si declina una delle tante lezioni del poetaintellettualeuomo Elio Pagliarani" (...)
"Pagliarani propone il come pensarla questa morte, il porsi esistenziale al quanto di morte noi circonda e all'essere irrimediabilmente vivo. Per questo ha senso pensare......
Ho voluto, per intitolare questa plaquette, cogliere questa lezione, per infonderla in questo "luogo della scrittura" dove tutti insieme restiamo a testimoniare l'attesa permanente della condizione poetica e perché tutti insieme è più facile lasciarci abitare dall'azzardo della Sua poesia."
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