lunedì 2 dicembre 2013

Carlo Livia, Omaggio al Petrarca, Roma, 7 maggio 2013

- Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 - 
Carlo Livia

Teodicea
Ci fu un mattino
Che ebbe per voce una musica smarrita

Ci fu un peccato
Che ebbe per cielo una tristezza infinita

Ci fu un cielo divelto
Che raccolse con le mani
Frammenti di nostalgia divina
E di amori lontani

Ci furono voci di lontane divinità
In un dormiveglia di malati
E grida di statue impazzite
In un corridoio di sogni dimenticati

Ci fu un confine di lacrime felici
Un’eternità in abito da sposa
Un tabernacolo colmo di millenni
E un Dio scomparso nel sogno d’una rosa

Si vide un paradiso rinchiuso
In un vecchio appartamento vuoto
E un guanto dell’Enigma dimenticato
Sul letto d’un angelo ignoto

Apparve una sera fatta di sorrisi
Violata da un desiderio senza fiato
E un volto di donna che rischiarava
L’ultimo istante smisurato

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 L’Angelo prigioniero
La mia donna dai capelli di cielo spogliato
E di bionde malinconie d’un tempo
Dallo sguardo di Paradiso violato
E di preghiera d’anime perdute
Dallo sguardo di silenzio di violini sepolti
E d’immensa calamita celeste
La mia donna dal sorriso di vicinanza degli Dei
Dall’anima di cattedrale di brezza
E di primavera suicida
Dall’anima di profumo d’addio incessante
E di frontiera proibita
Dai pensieri di frantumi d’aurora
Di cieli divelti e notti smantellate
Dalle parole di sentieri dell’Eden
Dal corpo di riva sconosciuta
Dal corpo di altare profanato
E di vertigine celeste
La mia donna dal corpo di sorgente dell’estasi
Dai baci di cieli dischiusi
Dai baci di silenzio degli Dei
Dalle carezze di specchi a perdifiato
E di stanze confuse nell’azzurro
La mia donna dal respiro di rifugio della quiete
Dalle dolcezze di madonna pensierosa
Dai silenzi di giardino segreto
E d’antiche cerimonie
La mia donna dal dolore di assenza impossibile
E di giuramento tradito
Dal dolore di finestre chiuse per sempre
In un sogno di Dei in esilio
Dalla tristezza d’usignolo rapito
Dalla tristezza d’arpa dimenticata fra le rocce
La mia donna dalle mani di lune bambine
Che strappano le radici del pianto
La mia donna dai gesti di musica e di specchio
Dalla voce di verande di luce dell’infanzia
E d’oscuro miele del passato
La mia donna dalle parole di balaustre di sogno
E d’immenso ripostiglio azzurro
La mia donna dagli occhi di lontane avemarie
E di calme profondità di flauto
Dagli occhi di ogive marine sull’eterno
E di misteriosi confini celesti
Dagli occhi pieni di lacrime del Paradiso
La mia donna dal volto d’angelo prigioniero
Dal volto d’ombra divina in uno squarcio del tempo
E di brezza che ride nel polline dell’addio
La mia donna dalle labbra d’uragano immobile
Dalle labbra di dolce rifugio dell’universo
E di eclissi dell’enigma
La mia donna dal profilo di sorgente della nostalgia
Dai baci di precipizio celeste
E di prigioni spalancate al vento
Dai baci di morte assassinata che sorride
E di sospiri di angeli che si svenano
La mia donna dal sorriso di folle volo di rondini
Dal sorriso di segreto del tramonto
La mia donna dai silenzi di navate deserte
E di sera d’antiche preghiere
Dai silenzi di culla innevata
Dall’anima di antiche porcellane
Dall’anima di specchio delle origini
E di chiarore nelle tenebre
Dal passo di delirio in piena luce
La mia donna dai sogni di statue che sorridono
E chiudono le uscite del Paradiso
Dai sogni di azzurre sale di Mozart
E di scalinate dell’ultimo istante smisurato
Dai sogni di orfanotrofi degli angeli
E di tremante capigliatura d’aurora in singhiozzi
Dai sogni di oscure erbe dell’eterno
La mia donna dalla lontananza di cielo affamato di stelle
E di sguardi atterriti di vento
Dalla lontananza di lune addormentate fra i marmi della fine
La mia donna dall’assenza piena di spettri che bisbigliano
Dall’assenza di mura che gridano
E di notte che precipita stritolando

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Livia
  
Carezzevoli cieli sedotti
Dalla chioma visibile dell’addio

Nostalgie più lievi d’un sospiro
Nel celeste mistero d’un amplesso
Scoprono ogni angolo di desiderio
Per colmare un cielo d’esilio

Ebbrezza di anime scomparse
In un golfo di respiri abbracciati

Sorgente d’assenze esplorabili
Fra segrete capigliature d’enigma
Dimenticate dagli angeli fuggevoli


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Luigi Celi, Omaggio al Petrarca, Roma 7 maggio 2013

- Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 -
Luigi Celi, per Celia


1)
Era bionda era nuda sotto un ramo
Le coprono i capelli il pube chiaro.
Preso ne fosti come un pesce all’amo,
Non furon foglie, né ci fu riparo.

Volto alla gloria e agli ozi, non ti chiamo
Laura, che Eva eri l’antica , nel raro
sogno che sfuggiva al muto richiamo
Del desiderio, in un chiuso sospiro.

La penna e i versi al palpito dei seni,
In dissidio segnati allo scontento,
Inconciliato, scisso, tra due amori

Non trovano più pace i giorni pieni.
Anima inquieta in preda al tuo tormento
Vacilli come fiamma dentro e fuori.

2)
Francesco sogni un’Eva che sia carne
Ma Laura è soltanto una farfalla
Solo un delirio d’immagini scarne
Ombra di un’ala che si tinge gialla.

Di quel lemure vuoto cosa farne
Forse la donna tua non è la bella
Di rossa melagrana che le starne
Becchettano tra racemi di sulla.

Non fantasmi dovresti ricercare
Umbratili figure verdi allori,
Distillati del nulla, nubi rare

Che la luce del giorno scaccia fuori.
Ciò che ottunde la mente e che non spare
Pone dissidio tra due opposti amori.