Nella storia dello sperimentalismo
novecentesco, la poesia di Elio Pagliarani svolge il ruolo precipuo di una
ricerca rigorosa, che articola senza sosta le interrogazioni sulla natura della
poesia e del suo specifico linguaggio, dando al tema delle risposte, da un lato
diverse e ben rispondenti alle diverse fasi storico-culturali attraversate,
dall’altro costantemente riconducibili ad una serie di problemi di base della
riflessione metaletteraria. Sono pochi gli autori che con tanta
consequenzialità hanno attraversato i momenti diversi, se non contrastanti, che
hanno caratterizzato gli ultimi quarant’anni del secolo XX, muovendo dalla
sperimentazione degli anni Sessanta al confronto con la scrittura della tarda
modernità e della postmodernità degli anni Novanta. Peraltro confrontandosi con tutte le tensioni
culturali che si sono susseguite in questi decenni, con quelle forme epocali di
riformulazione dei codici di lettura della realtà che hanno impresso via via
svolte fondamentali al dibattito culturale.
I temi e i problemi a cui qui si vuole
alludere sono quelli che costituiscono la base del dibattito dei decenni in
questione: dalle culture del corpo e del rapporto di questo con le diverse sfere
della conoscenza e della comunicazione, quale fu definito negli anni del
femminismo e dell’antipsichiatria, alla riscoperta della cultura materiale come
tradizione capace di opporsi ai luoghi comuni della cultura alta. Dalle
scritture delle citazioni, nate, com’è noto in ambito postmoderno, ma elaborate
talora con modalità tali da potersi leggere in opposizione al citazionismo
ludico che caratterizzava il postmoderno stesso. Ed ancora il gioco della
riscrittura, interpretato come occasione di riflessione metapoetica e, più
genericamente, metaletteraria.
Di tutte queste modalità di intervento
sulla natura del testo e sulla sua funzionalità in prospettiva sia storica che
linguistica, Pagliarani dà una interpretazione di grandissima efficacia e
rigore, ponendosi come uno degli interpreti più
puntuali dei dibattiti vivacissimi di quegli anni. Per comprendere la
centralità della sua opera occorre partire da quel particolare approccio alle
tematiche dei Novissimi e della neoavanguardia testimoniato, ad esempio, da
Walter Siti in un suo intervento su Il realismo dell’avanguardia. In
quel saggio l’opera di Pagliarani era letta come una peculiare modalità di
approccio realistico all’universo della modernità avanzata, nello sforzo di
superare la tradizionale interpretazione del realismo come una specie “retorica
dell’oggettività”. Ed infatti, se leggiamo un poemetto come La ragazza Carla,
accanto, ad esempio, ai testi di altri due novissimi come Giuliani e
Sanguineti, non si può non scorgere la distanza tra il postsurrealismo degli
ultimi due e la narrazione in versi di Pagliarani. Ma se poi osserviamo la
specifica costruzione di questo testo, con gli intarsi di citazioni testuali di
diversa matrice (stampa, manuali professionali, manifesti pubblicitari, ecc.), possiamo
ricondurre tali strategie testuali alla poetica più tipica della
neoavanguardia, con i temi della deflagrazione dei codici istituzionali della
poesia, l’abolizione della centralità dell’io poetante, la costruzione di un
reticolo di materiali dati che vanno a comporre il testo, come esito della
cultura massmediatica o della doxa tipica di un determinato contesto
storico-sociale. Insomma il Pagliarani novissimo (e dunque non solo La
ragazza Carla, ma anche Il Fecaloro, per continuare con Lezione
di fisica ed altri testi collocabili tra gli anni Cinquanta e i Sessanta),
nei cui testi in cui si scandisce l’appassionato dialogo tra le motivazioni
biografiche e le “enciclopedie” della contemporaneità. Il realismo di
Pagliarani qui si nutre delle formule più viete degli stereotipi ideologici e
linguistici, i linguaggi della realtà massificata, gli idiomi del mondo
alienato del capitalismo avanzato, la crudezza dispotica del linguaggio dei
potenti e l’ingenuità di quello degli umili: insomma “realismo” equivale al
lavoro sui modi della comunicazione, verbale e non, sui testi che la cultura di
massa accumula nella quotidianità.
La tappa successiva è quella di
ricondurre questa operazione di smontaggio e rimontaggio –da cui scaturiva la
narrazione in versi della Ragazza Carla- ad una raffinata operazione
metaletteraria e metafilosofica. Assumendo ad oggetto della manipolazione
linguistica –certo suggerita dalle pratiche postmoderne, ma agli antipodi per
strategia espressiva ed antiideologica- scritture emblematiche di un’epoca e di
una cultura (Platone, Savonarola), Pagliarani interviene a smembrarne le
pagine, per poi ricostruirle con nuove funzioni enunciative. Ogni verso sembra
risuonare, con tutta la suggestione del vocabolario e dell’enciclopedia a cui
fa riferimento, ma anche con la forza evocativa di una verità che affiora dalle
parole, da asserzioni che ora risuonano irrelate e definitive. Ancora una volta
si afferma la prospettiva di un realismo che riconduce i linguaggi alla loro
natura di base, fatta di vissuti, sofferenti e scandalosamente eloquenti.
Una fase
ancora diversa – che si snoda attraverso decenni, con un testo continuamente
riscritto e ripensato- è quella testimoniata dalla Ballata di Nandi,
grande esempio di una poesia in cui s’intrecciano narrazione, voci basiche dei
protagonisti, impennate dei linguaggi che si organizzano con i ritmi via via
più eloquenti, ora ossessivi, ora smorzati in considerazioni malinconiche,
perfino gnomiche. E siamo ad un’ulteriore modalità del realismo di Pagliarani,
quella che sembra enfatizzare come nucleo irrinunciabile di ogni forma di
narrazione della realtà il racconto del corpo, del ritmo che attorno ad esso
acquistano quei gesti e quegli eventi di cui i corpi sono protagonisti.
Tutto
questo solo per alludere ad alcune chiavi che testimoniano la portata storica
del lavoro poetico di Pagliarani, il suo modo, appassionato e di grande rigore
etico, di coniugare ricerca linguistica e stilistica e impegno civile,
attenzione per gli umili e i vinti e per
i loro linguaggi.
Nessun commento:
Posta un commento