lunedì 2 dicembre 2013

Carlo Livia, Omaggio al Petrarca, Roma, 7 maggio 2013

- Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 - 
Carlo Livia

Teodicea
Ci fu un mattino
Che ebbe per voce una musica smarrita

Ci fu un peccato
Che ebbe per cielo una tristezza infinita

Ci fu un cielo divelto
Che raccolse con le mani
Frammenti di nostalgia divina
E di amori lontani

Ci furono voci di lontane divinità
In un dormiveglia di malati
E grida di statue impazzite
In un corridoio di sogni dimenticati

Ci fu un confine di lacrime felici
Un’eternità in abito da sposa
Un tabernacolo colmo di millenni
E un Dio scomparso nel sogno d’una rosa

Si vide un paradiso rinchiuso
In un vecchio appartamento vuoto
E un guanto dell’Enigma dimenticato
Sul letto d’un angelo ignoto

Apparve una sera fatta di sorrisi
Violata da un desiderio senza fiato
E un volto di donna che rischiarava
L’ultimo istante smisurato

.................

 L’Angelo prigioniero
La mia donna dai capelli di cielo spogliato
E di bionde malinconie d’un tempo
Dallo sguardo di Paradiso violato
E di preghiera d’anime perdute
Dallo sguardo di silenzio di violini sepolti
E d’immensa calamita celeste
La mia donna dal sorriso di vicinanza degli Dei
Dall’anima di cattedrale di brezza
E di primavera suicida
Dall’anima di profumo d’addio incessante
E di frontiera proibita
Dai pensieri di frantumi d’aurora
Di cieli divelti e notti smantellate
Dalle parole di sentieri dell’Eden
Dal corpo di riva sconosciuta
Dal corpo di altare profanato
E di vertigine celeste
La mia donna dal corpo di sorgente dell’estasi
Dai baci di cieli dischiusi
Dai baci di silenzio degli Dei
Dalle carezze di specchi a perdifiato
E di stanze confuse nell’azzurro
La mia donna dal respiro di rifugio della quiete
Dalle dolcezze di madonna pensierosa
Dai silenzi di giardino segreto
E d’antiche cerimonie
La mia donna dal dolore di assenza impossibile
E di giuramento tradito
Dal dolore di finestre chiuse per sempre
In un sogno di Dei in esilio
Dalla tristezza d’usignolo rapito
Dalla tristezza d’arpa dimenticata fra le rocce
La mia donna dalle mani di lune bambine
Che strappano le radici del pianto
La mia donna dai gesti di musica e di specchio
Dalla voce di verande di luce dell’infanzia
E d’oscuro miele del passato
La mia donna dalle parole di balaustre di sogno
E d’immenso ripostiglio azzurro
La mia donna dagli occhi di lontane avemarie
E di calme profondità di flauto
Dagli occhi di ogive marine sull’eterno
E di misteriosi confini celesti
Dagli occhi pieni di lacrime del Paradiso
La mia donna dal volto d’angelo prigioniero
Dal volto d’ombra divina in uno squarcio del tempo
E di brezza che ride nel polline dell’addio
La mia donna dalle labbra d’uragano immobile
Dalle labbra di dolce rifugio dell’universo
E di eclissi dell’enigma
La mia donna dal profilo di sorgente della nostalgia
Dai baci di precipizio celeste
E di prigioni spalancate al vento
Dai baci di morte assassinata che sorride
E di sospiri di angeli che si svenano
La mia donna dal sorriso di folle volo di rondini
Dal sorriso di segreto del tramonto
La mia donna dai silenzi di navate deserte
E di sera d’antiche preghiere
Dai silenzi di culla innevata
Dall’anima di antiche porcellane
Dall’anima di specchio delle origini
E di chiarore nelle tenebre
Dal passo di delirio in piena luce
La mia donna dai sogni di statue che sorridono
E chiudono le uscite del Paradiso
Dai sogni di azzurre sale di Mozart
E di scalinate dell’ultimo istante smisurato
Dai sogni di orfanotrofi degli angeli
E di tremante capigliatura d’aurora in singhiozzi
Dai sogni di oscure erbe dell’eterno
La mia donna dalla lontananza di cielo affamato di stelle
E di sguardi atterriti di vento
Dalla lontananza di lune addormentate fra i marmi della fine
La mia donna dall’assenza piena di spettri che bisbigliano
Dall’assenza di mura che gridano
E di notte che precipita stritolando

.......................

Livia
  
Carezzevoli cieli sedotti
Dalla chioma visibile dell’addio

Nostalgie più lievi d’un sospiro
Nel celeste mistero d’un amplesso
Scoprono ogni angolo di desiderio
Per colmare un cielo d’esilio

Ebbrezza di anime scomparse
In un golfo di respiri abbracciati

Sorgente d’assenze esplorabili
Fra segrete capigliature d’enigma
Dimenticate dagli angeli fuggevoli


.........................

Luigi Celi, Omaggio al Petrarca, Roma 7 maggio 2013

- Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 -
Luigi Celi, per Celia


1)
Era bionda era nuda sotto un ramo
Le coprono i capelli il pube chiaro.
Preso ne fosti come un pesce all’amo,
Non furon foglie, né ci fu riparo.

Volto alla gloria e agli ozi, non ti chiamo
Laura, che Eva eri l’antica , nel raro
sogno che sfuggiva al muto richiamo
Del desiderio, in un chiuso sospiro.

La penna e i versi al palpito dei seni,
In dissidio segnati allo scontento,
Inconciliato, scisso, tra due amori

Non trovano più pace i giorni pieni.
Anima inquieta in preda al tuo tormento
Vacilli come fiamma dentro e fuori.

2)
Francesco sogni un’Eva che sia carne
Ma Laura è soltanto una farfalla
Solo un delirio d’immagini scarne
Ombra di un’ala che si tinge gialla.

Di quel lemure vuoto cosa farne
Forse la donna tua non è la bella
Di rossa melagrana che le starne
Becchettano tra racemi di sulla.

Non fantasmi dovresti ricercare
Umbratili figure verdi allori,
Distillati del nulla, nubi rare

Che la luce del giorno scaccia fuori.
Ciò che ottunde la mente e che non spare
Pone dissidio tra due opposti amori.

sabato 30 novembre 2013

Giuseppe Spadaro, Omaggio al Petrarca, Roma 7 maggio 2013

 - Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 -
Giuseppe Spadaro

Dedicato a Francesco Petrarca, 
Roma 7 maggio 2013

Il buon pilota

Il buon pilota mantiene la rotta 
e la mantiene mutando direzione,
col mare non ingaggia impari lotta
ma lo asseconda puntando il timone
laddove l'esperienza lo consiglia,
sicché prima che l'onda lo travolga
sarà lui a tenerla per la briglia.
Non c'è trucco dell'onda che lo colga
impreparato a schivare la lusinga
invitante alla calma ed al sereno,
ch'egli con mano attenta e l'occhio fisso
elude ogni qualvolta essa la finga,
nella sfida mortal fra vuoto e pieno
per salvarsi dal nulla dell'Abisso.....

L' amore è un sentimento

L'amore è un sentimento che ha bisogno
di ingredienti in tutto antagonistici,
ché somiglia per un verso a un sogno
celestiale, per l'altro egoistici
istinti del piacere e del possesso
eccitano quella forza di attrazione
a un rabbioso e così smodato amplesso
che la sviliscono in depravazione.
Il celestiale anelito, lubrica 
libidine diventa, se la breve
parentesi d'intensa commozione svanisce e all'impulsività impudica
non subentra il patetico ma greve
compromesso della procreazione. 

Come acciuga salata

Come acciuga salata nel barile
si macera Giulietta di passione,
e se assurdo vi appare il paragone
fra quel volto pallido, febbrile,
che s'accende di sdegno o di dolore
e  l'acciuga  salata nel barile,
rigida e muta come il primo amore,
pensate quanto all'anima sia ostile.



giovedì 10 ottobre 2013

Pina Majone Mauro, Omaggio a Petrarca, Roma, 7 maggio 2013

 - Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 - 
Pina Majone Mauro

 
Roma, 7 maggio 2013

T’hanno cantato musici e poeti

o dolce Italia mia bella e gentile
terra divina superbo baluardo
tra l’oriente celeste e misterioso
di libecci e profumi e spezie e fiori
e il mistral che dalle porpore cadenti
investe le colonne minacciose
dove l’olimpio Giove furibondo
pose il veto all’umana conoscenza
tra Calpe e Abila ai confini del mondo.
Dalla sua triste libertà coatta
ti cantò Ovidio esule poeta
che da Tomis ombrosa sempre invano
invocava il ritorno ed il perdono
del suo signore Augusto amato e offeso.
E ti cantò Virgilio Terra Promessa
all’Eroe che scampò da Ilio in fiamme
e ai tuoi lidi approdò per generare
col favore di Marte e di Afrodite
la tua stirpe divina e la tua gloria.
Fosti anche il sogno di barbari guerrieri:
il “Flagello di dio” Attila insonne
che bruciò l’erba del tuo sacro suolo
Odoacre che su di te regnò
Alarico che ti mise a ferro e fuoco
e quaggiù venne a morire e qui riposa
nell’ ansa del Busento all’ Alpe bruzia….
poi Federico Manfredi e Corradino
che con l’arte e la spada
t’onorarono e ti persero per sempre…

Di te cantò il “Ghibellin fuggiasco”

Maestra del Diritto e della Storia
nel suo immortal Poema
tra i dannati con Ciacco e Farinata
tra i salvati col musico Sordello
con Giustiniano nel Cielo dei Giusti

                    Poi dall’alto granito dei tuoi monti

“ tetto d’Europa” il nobile Aretino
ti ammirò languida e distesa
nel tuo mare latino
in bilico sospesa
tra la virtù e l’errore e si doleva
di te amante bellissima e perduta
del tuo avverso destino e sospirava
“ Italia mia benché il parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sì spesse io veggio…”
Tanto t’amò l’alto Cantor d’Arezzo
schiava d’alto lignaggio eppur magistra
d’archi e di leggi inascoltata e fiera.

                    Il silenzio dei secoli prevalse

sul destino annunciato
fuggì Erato divina e Clio la bella
disertò i propilei
saltarono le corde delle cetre
dei Poeti per paura appese
alle fronde dei salici silenti.
Poi dall’esilio della Garfagnana
il grande Segretario Fiorentino
profetizzava l’epico ritorno
di un nuovo Mosè liberatore
e “…temprando lo scettro ai regnatori
gli allor ne sfronda ed alle genti svela
di che lacrime grondi e di che sangue…”
Poi l’infelice Vate
in cerca d’infinito rimembrando
“….vede le mura e gli archi…”
delle tue antiche glorie e si addolora
del tuo presente delle tue sventure…..
Dai Sepolcri dei Grandi alto e possente
s’alza il verso di Foscolo ramingo
“…a egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta…” e l’eco divampò
nel cuore degli eroi che poi morirono
perché tu fossi ancora grande e libera.
A Babilonia intona l’alto canto
di libertà il Cigno di Busseto
“Va’ pensiero sull’ali dorate
va’ ti posa sui clivi sui colli
ove olezzano tepide e molli
l’aure dolci del suolo natal…”
e pensando ai Fratelli
di lotta e di passione
Goffredo ti donò la giovinezza
e morendo per te che ti destavi
dal lungo sonno della schiavitù
intonò l’inno alla tua libertà.
Cinta la testa dell’elmo di Scipio
attraversasti il secolo ventesimo
tra acefale vittorie e genocidi
tra Yalta mercato dei popoli
e Hiroshima vergogna del mondo.
Ora mi pare e anch’io ti canto e piango
che lo spettro di Vico
lanci anatemi e ripresenti il conto
a chi giura di amarti e ti rivende
a prezzo inflazionato
a mercanti e a ladroni.
Piazze infuocate e tribunali ed are
tutto è perduto Italia mia e invano
noi musici e poeti
libiamo latte ed intrecciam corone
sulle urne dei Padri
sull’ara sconsacrata vacilla la memoria.
Solo l’eco rimane
della tua lunga storia, Italia mia
“…e pianti ed inni e delle Parche il canto…”

               Più che mai vero
oggi risuona il canto di Sordello
“…ahi serva Italia di dolore ostello
nave senza nocchiere in gran tempesta
non  donna di provincie ma bordello..”   


I poeti e i relatori

I POETI  e I RELATORI

- Omaggio a Saffo, I^ edizione 2012 -
Si ringraziano
Per la creazione di testi poetici di interazione con la saffica 'fainetai moi kenos isos teoisin'
i poeti:
  •  



Per le Relazioni dedicate a Saffo:
  •  


- Omaggio a Petrarca, II^ edizione 2013 -
Si ringraziano
Per la creazione di testi poetici di interazione con la poesia del Petrarca i poeti:
  • Luigi Celi
  • Carlo Livia
  • Pina Majone Mauro
  • Giuseppe Spadaro 
Per le Relazioni dedicate al Petrarca:
  • Annamaria Vanalesti
  • Angelo Fàvaro
  • Rino Caputo

- Omaggio a Ludovico Ariosto, III^ edizione 2014 -
Si ringraziano
Per la creazione di testi poetici di interazione con la poesia dell'Ariosto i poeti:
  • Rino Malinconico

Per le Relazioni dedicate all'Ariosto:
  • Rino Malinconico
  • Paolo Borzi


Omaggio al Petrarca Programma 2013

AltrEdizioni Casa Editrice • Via Vivaldi 138 • 00052 Valcanneto di Cerveteri (rm) • redazione@altredizioni.it
Associazione Aleph • vicolo del Bologna 72 Trastevere • Roma • info@associazionealeph.it

Progetto OMAGGIO
Giornata Mondiale della Poesia, 21 marzo
In collaborazione con Associazione Aleph, Roma

A cura di Luciana Gravina

Il Progetto Omaggio, ideato da AltrEdizioni Casa Editrice in collaborazione con
l’Associazione Aleph di Roma, nasce in occasione della Giornata Mondiale della
Poesia istituita dall’UNESCO il 21 marzo e ne sposa la missione di “riconoscere
all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo
interculturale, della comunicazione e della pace”.

Il progetto si sviluppa in due giornate:
Durante la prima giornata, che si svolge in coincidenza con la Giornata Mondiale
della Poesia, il 21 marzo, si ricorda il Poeta scelto e se ne celebrano la figura
artistica e l’opera attraverso relazioni e letture di testi poetici.
Alcuni poeti sono invitati a comporre un testo di interazione con la poesia del
Petrarca.
Nella seconda giornata si terrà un'altra relazione e saranno letti i nuovi componimenti nella
sede dell’Associazione Aleph, in Trastevere, Roma.

Una selezione dei testi viene inoltre pubblicata online da AltrEdizioni Casa
Editrice.
AltrEdizioni Casa Editrice • Via Vivaldi 138 • 00052 Valcanneto di Cerveteri (rm) • redazione@altredizioni.it
Associazione Aleph • vicolo del Bologna 72 Trastevere • Roma • info@associazionealeph.it
II^ edizione, 2013

OMAGGIO a Francesco PetrarcaA cura di Luciana Gravina
21 marzo 2013 ore 17:00 - MIBAC, Biblioteca Vallicelliana, Roma
07 maggio 2013 ore 17:00 - Associazione Aleph, Roma

L’autore scelto per la manifestazione del 2013, in occasione della Giornata Mondiale della Poesia, è
Francesco Petrarca.
La manifestazione tende a rinnovare il contatto con un poeta che sicuramente tutti conoscono e
che è fondamentale nella produzione della poesia degli anni e dei secoli successivi.
Petrarca stabilizza i canoni della poesia lirica e nasce con lui il Petrarchismo, fenomeno complesso
che investe tutta la poesia, non solo italiana, ma europea.
Nel Canzoniere il tema fondamentale è indubbiamente l’amore, ma ci sono anche la poesia
religiosa e quella civile.
Eppure, sostengono alcuni critici, il Petrarca si aspettava la gloria dalle sue opere in volgare.
Ma è poi così vero che il Petrarca non fosse consapevole del suo valore di poeta?
Scoprirlo forse non cambierebbe nulla nella nostra disposizione verso di lui, nella nostra
ammirazione, nell’emozione che ogni volta i suoi versi ci procurano.
Rendere omaggio a un grande non è banalmente un dovere, è qualcosa di più: è passione.

La manifestazione di Omaggio
Giovedì, 21 marzo 2013, ore 17:00 – Biblioteca Vallicelliana, MIBAC
Omaggio alla figura del Petrarca.
Introduzione di Luciana Gravina. Interventi di Anna Maria Vanalesti, dirigente scolastico e critico
letterario, e Angelo Fàvaro docente universitario.
Letture di Giulia Perroni e Angelo Fàvaro.
Nell’occasione sarà redatta una lista di poeti che saranno invitati a dedicare alcune loro
composizioni di interazione con la poesia del Petrarca.
Martedi, 07 maggio 2013, ore 17:00 – Associazione Aleph, Roma
Intervento di Rino Caputi, docente universitario. “Noi postumi del Petrarca”
Reading dei componimenti poetici originali appositamente prodotti come interazione con la Poesia
del Petrarca. I poeti saranno invitati a leggere le loro creazioni e successivamente a inviarle alla
redazione di AltrEdizioni Casa Editrice, che li pubblicherà on line.




martedì 8 ottobre 2013

RELAZIONI: Annamaria Vanalesti "La ricordanza in Petrarca"

- Relazioni Omaggio a Petrarca, II^ ed 2013 -

Annamaria Vanalesti *
La rimembranza in Petrarca…”Dolce nella memoria”

Da  be’ rami scendea,/ dolce nella memoria,/ una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo/ ed ella si sedea,/ umìle in tanta gloria,/ coverta già dell’amoroso nembo”. In questi versi c’è una sublime rappresentazione della donna, il trionfo della bellezza, pari solo a uno dei  trionfi pittorici botticelliani. Ma ciò che più conta e sorprende, è quella dichiarazione, quasi  in sordina, dolce nella memoria che oltre a rivelare la ripresa indiretta della sequenza, ne  scopre il motivo portante cioè la memoria,  che fa da tramite, sempre, nella poesia petrarchesca, tra lo stato emozionale e  le immagini.  
La “rimembranza”, per usare un termine del Petrarca, è filtro assoluto, velame necessario, lente inelusibile, per sottrarre al passato i ricordi che si vogliono celebrare, consacrandoli all’immortalità.
Il  poeta scoprì quanto e come la memoria fosse fondamento della poesia, indispensabile per spogliare le cose di una loro quotidiana vicinanza e consegnarle ad una dimensione extratemporale, capace di “eternare”ogni oggetto cantato. Dante  era  proiettato nella sua visionarietà del futuro e dell’elemento profetico, Petrarca si proietta nel suo passato e lo rielabora attraverso la memoria, per riconoscervi la sua vita e ricomporla in una ideale traiettoria di formazione spirituale e letteraria, dominata dalla ricerca della purezza e del bello. Si spiega perché la sua scelta verbale ricada di solito sull’imperfetto o sul passato remoto, i due tempi che servono a fermare e ad isolare le scene. Tutto il Canzoniere ne  è testimone, a cominciare dal sonetto iniziale “Voi ch’ascoltate in rime sparse /il suono di quei sospiri ond’io nudriva il core/ in sul mio primo giovenile errore/ quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono”.
 Nudriva, era , sono imperfetti che segnano un immediato distacco tra la condizione attuale del poeta e quella del passato, che egli vuole raccontare, perché è  il racconto  la misura del suo canto, essendo in lui intrinseca la disposizione a narrare, in versi, la propria storia, la propria vicenda interiore, rendendola unica, e fermandola per sempre. Per altro, il prodigio di questa  operazione, da lui compiuta, che altro non è se non un’alta operazione stilistica, realizzata attraverso una straordinaria padronanza  della  lingua, consiste essenzialmente nel produrre un notevole effetto di rasserenamento sull’animo del poeta,  una dissoluzione lirica delle angosce che  lo attanagliavano, in sostanza  quella “dolcezza” a cui il poeta stesso allude  nei versi citati della sua celeberrima canzone, quando dichiara che il ricordare è dolce. Secoli più tardi, il più grande erede della lirica petrarchesca, Leopardi, avrebbe provato ed espresso lo stesso sentimento, eleggendo anch’egli la “ricordanza” ( con una leggera trasformazione del termine rispetto a “rimembranza”) come condizione essenziale della poesia e facendo del “caro immaginar” non una vana fantasticheria, ma un costante recupero di momenti e situazioni del passato, “ancorché tristi”,  teorizzando e mettendo  in pratica l’azione poetica della memoria che Petrarca aveva scoperto.
Non v’è dubbio che il Canzoniere sia intessuto di memorie: il primo incontro con Laura, le fasi dell’innamoramento, la bellezza di lei disvelata in vari momenti, la guerra d’amore, le sconfitte, gli affanni e la solitudine, la morte di lei e tanti altri eventi. Sono la materia stessa della poesia e di questo lungo e complesso diario, che mentre ricostruisce il cammino dell’uomo, ne segna la formazione poetica e la maturazione dello stile.
Ma quali sono le tipologie della rimembranza in Petrarca ? E come si manifesta? E’ una memoria volontaria o involontaria, per dirla con Proust? Per  rispondere a queste domande, bisogna entrare nel laboratorio del Canzoniere, richiamarne le origini e capirne le fasi di composizione.
 Prima di tutto occorre tener presente che la poesia petrarchesca non ha mai uno sfondo realistico, anzi è quasi priva totalmente di particolari realistici, perché anche quando il poeta accenna ad elementi fisici, come gli occhi, i capelli, le vesti di Laura, le descrizioni sono sempre evanescenti e potremmo dire che fanno parte di un repertorio consueto e frequente in tutta la poesia anteriore provenzale e siciliana. Gli eventi poi, malattie, morti, scontri storici tra illustri famiglie, viaggi o altro, sono anch’essi rievocati con uno sguardo d’insieme, che non puntualizza mai alcun dato preciso e temporale e che appare solo come una patina realistica, appena sfiorata. Che posto ha dunque la memoria in tutto ciò? Non è una rievocazione del vissuto, nonostante possa sembrare paradossale tale affermazione. Del resto, del vissuto del Petrarca non possiamo mai essere certi; di Laura non abbiamo che pochi riferimenti assai dubbi ( il suo matrimonio con Ugo De Sade, il suo probabile cognome De Noves, l’incontro del 6 aprile 1327 nella chiesa di  S.Chiara in Avignone), non sappiamo però chi ella fosse realmente, né conosciamo la sua vicenda personale e tutto quello che egli ci dice di lei è frutto di una continua trasfigurazione lirica, che ben poco ha a che vedere con la realtà. Eppure il poeta ci fa credere che ogni indizio sia vero ed effettivamente accaduto, porgendocelo come un ricordo, una memoria.  Né mente del tutto, perché la memoria che egli cerca di trasmettere, appartiene al suo pensiero, alla sua immaginazione, al suo desiderio di vedere o rivedere i momenti che ha desiderato fortemente di vivere.
Prendiamo per esempio il sonetto III Era il giorno ch’al sol si scoloraro , che è l’inizio della sua storia amorosa, nonché l’inizio di quel diario di vita che è il Canzoniere. Tutto è cominciato da quell’incontro, avvenuto nel venerdì santo, nel momento più sbagliato in cui potesse capitare, nell’occasione meno adatta ad un innamoramento, ma che proprio per questo si ammantò di auspici nefasti e costituì, sin dal primo istante, motivo di vergogna e disappunto del poeta con se stesso. Lasciarsi adescare dalla bellezza femminile nel giorno in cui avrebbe dovuto solo concentrarsi sulla morte del Cristo, certo non fu motivo di onore e vanto per il suo animo cristiano. Ma non è questo che a noi interessa, quanto piuttosto l’andamento della lirica che ad ogni verso si propone come una rimembranza,  la rievocazione di un evento, nelle sue varie fasi in retrospettiva: il grigiore del cielo e la scarsa luce contrapposta allo splendore degli occhi della donna, la disposizione d’animo alla tristezza e al pianto, l’improvvisa folgorazione dell’amore, che lo trovò “disarmato”. E’ una rievocazione in piena regola, perché come tale ce l’ha tramandata il poeta, anche se rimangono infiniti dubbi sul piano reale. Si tratta però di una memoria “volontaria”, che non trasale spontanea nella mente dell’autore, ma s’inserisce come voluta, nell’iter dell’opera, nel punto giusto e opportuno. Ugualmente possiamo dimostrare che il sonetto XC Erano i capei d’oro a l’aura sparsi ripropone la sequenza di un incontro (non necessariamente il primo) nel quale si conferma l’innamoramento come un graduale incanto da parte dell’uomo di fronte alla bellezza della donna amata. I biondi capelli sparsi all’aura (incredibile artificio, splendidamente riuscito, di vagheggiare e confondere il nome della donna con la natura), gli occhi luminosi, il rossore del viso, la nobiltà del portamento, la dolcezza della voce, sono elementi di straordinaria eleganza, che non appartengono ad un’attualità reale, ma ad una memoria imposta, cercata e fatta propria, attraverso il sottilissimo ordito della poesia che ogni cosa sa mutare in autentica. La tecnica petrarchesca è raffinata e complessa: giocando su una rimembranza assai vaga e fantastica, la cui esigenza nasce da un’intima disposizione ad unificare e fondere la natura esterna con i personaggi e le presenze della sua vita vera, egli riesce a creare inquadrature sospese tra realtà e finzione, ferme per sempre nel tempo.
  Fatto essenziale della rimembranza del Petrarca è la mancanza di fondamento reale (dato completamente diverso nella “ricordanza” leopardiana); secondo aspetto importante è la volontarietà del ricordo, che esclude ogni spontaneità e in qualche modo ogni emotività e, infatti, sarebbe inesatto pensare che quelle rievocazioni, anche quando siano di momenti dolorosi, provochino nel poeta sofferenza. Ogni dolorosa sensazione è come rimossa, sebbene venga raccontata o dichiarata; ogni stato di sofferenza è eluso e allontanato per far interamente posto all’effetto suggestivo e rasserenante della poesia. Lo stesso potremmo dire della supposta sensualità del Petrarca, assolutamente velata e appena accennata, anche quando si fa cenno alle grazie corporee di Laura. Mai il poeta si abbandona alla carnalità, mai traspare nei suoi versi perfetti, un ristagno di sensualismo insoddisfatto, benché il poeta sia un eterno insoddisfatto e lamenti un perenne dissidio interiore tra spirito e carne, tra il terreno e il divino. La sensualità è rarefatta e sottintesa, perché mancano sensazioni tattili e olfattive e se appaiono sensazioni visive, sono comunque assai sfumate ed inserite in un contesto generale che rimanda ai consueti repertori della poesia amorosa e paesaggistica.
Ma tornando alla rimembranza e alla sua funzione, le ragioni di essa si trovano anche nell’elaborazione del Canzoniere, non dimentichiamo che l’opera, composta lentamente e occasionalmente, in forma di rime sparse e senza il fine di una destinazione culturale, quasi per sfogo  e consolazione privata, divenne solo in un secondo momento un’opera vera e propria con intenti di divulgazione, quando il poeta prese coscienza delle sue possibilità liriche e comprese che anche le sue canzoni e i suoi sonetti potevano fargli raggiungere quei traguardi di gloria a cui aspirava e ai quali aveva pensato che  potessero condurlo le opere erudite in latino. Il lavoro, quindi, nacque come una rielaborazione delle rime sparse, un’operazione non tanto di riscrittura, quanto di ordine delle liriche composte in vari tempi, ordine che  comportò per il poeta un percorso all’indietro, della sua vita, un viaggio nell’io, per ricomporre le tessere di un puzzle spirituale confuso, alla ricerca dell’equilibrio interiore che gli era sempre mancato, tra i due poli opposti della sua anima, ansia di religiosità e trasporto verso le cose terrene e carnali. Il motivo catalizzatore di questa azione di unificazione e di ordine, che avrebbe anche costituito il filo conduttore della forma diaristica del Canzoniere divenne l’amore, centro tematico di tutta l’ispirazione poetica del Petrarca, anche quando i contenuti specifici di una composizione sono di altra natura, perché è l’amore che segna le tappe della sua esistenza, la sua formazione umana e letteraria e nell’amore si riassume e si concentra ogni altro significato doloroso della condizione umana. L’amore si presentò come eterna sofferenza, come signore e guida della vita, come inappagato desiderio di bellezza e perenne insoddisfazione. Né fu necessariamente l’amore per Laura la fonte dei suoi lamenti, ma piuttosto l’amore in generale come centro di ogni delusione umana, di ogni irraggiungibile ideale; nell’amore, in definitiva, si proiettava il destino personale del poeta, ma anche il destino degli uomini, a conferma che ordinando il suo Rerum vulgarium fragmenta ( titolo primo e autentico del Canzoniere), Petrarca intendeva sì compiere un cammino individuale dalla terra al cielo, dall’umano al divino, ma intendeva anche farlo compiere e additarlo a tutti i lettori. La maniacale ricerca dell’ordine e dell’unità in ogni opera da lui scritta nasceva da un’intima esigenza di dare organicità ad una materia assai complessa come la sua storia intima e ciò spiega il laborioso e lungo lavoro di correzione, di revisione, di ordinamento, che ci fu dietro ogni scritto, a cominciare dallo sforzo di inserire le rime sparse in unico corpus, alla cui edizione giunse dopo almeno quattro tentativi o esempi, che testimoniano i vari stadi attraverso i quali è passata la raccolta, prima di pervenire alla forma definitiva, che è quella fornitaci dal codice Vaticano 3195, di 366 componimenti, di cui 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. L’organizzazione del corpus rispondeva all’aspettativa primaria del Petrarca di realizzare la perfezione stilistica e ottenere la gloria, ma rispondeva anche alla volontà precisa  di tracciare la storia di un’anima, il cui faro guida restava in ogni caso l’amore, unico “nocchiero” della sua nave. Fatte tali premesse, circa la costruzione e il riordinamento del Canzoniere, non ci si  può stupire che a dirigere l’orchestrazione dell’opera sia stato il ricordo, una memoria persistente del passato, sia pure deprivata dei dati reali e restituita in modo ideale dalla poesia,  miracolo che soltanto un geniale poeta poteva operare. Da questa idealizzazione dei ricordi dipende la qualità  propria della rimembranza del Petrarca e  deriva il fatto che leggendo alcune liriche, nemmeno ci si accorge che l’autore sta  ricordando, se non da qualche raro accenno indiretto, che qui esemplifichiamo: “gentil ramo ove piacque,/ con sospir mi rimembra,/  a lei di fare al bel fianco colonna”, oppure la già ricordata citazione “dolce nella memoria”(canzone CXXVI); o  “il rimembrar e l’aspettar m’accora” (sonetto CCLXXII) verso che è un’ aperta dichiarazione di memoria in corso, seguita poco più avanti, nello stesso bellissimo sonetto, da un’altra emblematica affermazione “ tornami avanti s’alcun dolce mai” , dove possiamo notare l’esattezza  di quel verbo tornami, così allusivo delle fasi dell’immaginare e del ricordare. Rileggiamo questa raffinatissima lirica:

La vita fugge e non s’arresta un’ora
e la morte vien dietro a gran giornate
e le cose presenti e le passate
mi danno guerra, e le future ancora;

e il rimembrare e l’aspettar m’accora
or quindi or quindi, sì che in veritate,
se non ch’i ò di me stesso pietate
i’sarei già di questi pensier fora.

Tornami avanti s’alcun dolce mai
ebbe ‘l cor tristo, e poi da l’altra parte
veggio al mio navigar turbati i venti:

veggio fortuna in porto, e stanco omai
il mio nocchier, e rotte arbore e sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.

Il tema della precarietà della vita, che qui domina, è centrale nel Canzoniere, perché riassume in pieno la condizione del poeta, sempre in bilico tra il passato, il presente e il futuro, sempre sbilanciato tra il ricordo e una vana attesa dell’amore e infine sempre proteso in un esame di se stesso e della sua vita, per verificare   se mai abbia avuto una tregua l’infelicità del cuore. Ma l’aspettativa non è di un approdo sereno, bensì di una tempesta che lo farà soccombere. Mette ben in evidenza, questo sonetto, la tecnica della “rimembranza”, mai disgiunta dall’attesa,  sia pure scoraggiata e presaga di sconfitte. C’è in ogni caso nelle liriche del Canzoniere una circolarità di temi, frequentati con assiduità, quasi con ostinazione: la precarietà, il divenire, la morte, la vecchiaia, vista come lo spegnersi della  bellezza e della luce, motivi tutti che producono nell’uomo la pietà di sé, quindi dolore e lagrime. Potremmo dire che si tratta di topoi della poesia amorosa, dalla provenzale alla siciliana e toscana, ma in Petrarca diventano singolari e originali, acquistano un valore aggiunto, che li rende inconfondibilmente unici e propriamente petrarcheschi.
La memoria e il ricordo   trovano la loro esatta controparte stranamente nell’oblio, altro termine ricorrente nella lingua del Nostro. Si tratta di un oblio a volte desiderato, a volte traboccante dalla sofferenza, mai spontaneo e, di solito, cercato. Pensiamo alla metafora della vita espressa da quella nave del sonetto CLXXXIX che passa colma d’oblio, per aspro mare, a mezza notte, il verno (immagine di cui si ricordò Leopardi in Aspasia, v.108), o pensiamo ai versi tener fiso/ posso al primo pensier la mente vaga/ e mirar lei et obliar me stesso della canzone CXXIX ( meglio nota dal suo incipit Di pensier in pensier, di monte in monte) e subito comprenderemo che cosa è l’oblio in Petrarca.
 L’oblio è non solo la dimenticanza di sé, ma è l’abbandono completo dei sensi, una sorta di delirio, che allontana dal mondo circostante l’uomo, per condurlo ad un unico termine di contemplazione, l’amore., quell’amore che fa dire al poeta, nella canzone appena citata, sento Amor sì da presso/ che  del suo proprio error l’alma s’appaga. La rimembranza ha come polo opposto l’oblio e paradossalmente l’uno si compenetra nell’altra, perché non c’è memoria senza che la mente innamorata non dimentichi tutto il resto, e anche se medesima, per votarsi interamente all’amore, e non c’è oblio senza che la memoria si concentri sul solo motivo dell’amore. Si legga il passo che mostra come l’amante infaticabile lasci che l’amore guidi l’anima sbigottita, disposta ad acquietarsi soltanto nella natura, en plein air:

Di pensier in pensier, di monte in monte
mi guida Amor, ch’ogni segnato calle
provo contrario a la tranquilla vita.
Se in solitaria piaggia, rivo o fonte,
se ‘fra duo poggi siede ombrosa valle,
ivi s’acqueta l’alma sbigottita;

E ancora si legga  il sonetto che descrive la guerra d’amore del poeta, combattuta tra il ricordo e l’oblio:

  Passa la nave mia colma d’oblio
per aspro mare, a mezza notte, il verno,
enfra Scilla e Caribdi; at al governo
siede il signore, anzi il nimico mio;

a ciascun remo un penser pronto e rio
che la tempesta e ‘l fin par, ch’abbi a scherno;
la vela rompe un vento umido, eterno
di sospir, di speranze e di desio;


pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna e rallenta le già stanche sarte,
che son d’error con ignoranza attorto.

Celansi i duo mei dolci usati segni;
morta fra l’onda è la ragion e l’arte:
tal ch’i’ ‘comincio a desperar del porto.

Si osservi come l’intera lirica sia dominata dalla tecnica dell’accumulo, che contribuisce a creare un effetto di esasperazione dello stato d’animo e di incontrollata condizione emotiva, mentre in verità il poeta controlla perfettamente ogni vocabolo, ogni palpito e ogni espressione.
Sono questi i momenti prodigiosi della poesia petrarchesca, apparentemente coinvolta da elementi e vicende contingenti, più o meno di natura dolorosa, eppure così fieramente distaccata, da qualsiasi dato quotidiano e reale. La rimembranza rafforza l’oblio di sé e l’oblio di sé accende la rimembranza della donna amata.
Altra testimonianza offrono i versi ispirati dalla pura memoria della  bellezza, del sonetto CLIX ( In qual parte del ciel, in quale idea):

Per divina bellezza indarno mira,
chi gli occhi de costei già mai non vide,
come soavemente ella gli gira;

non sa come Amor sana  e come ancide
chi non sa come dolce ella sospira
e come dolce parla e dolce ride.

Il poeta ricorda alcuni particolari della bellezza di Laura, il suo modo soave di volgere lo sguardo, il  dolce sospirare, la  dolcezza nel parlare e nel ridere, e nonostante sia evidente la citazione di Orazio (Ode I dulce ridentem Lalagen amabo, dulce loquentem) riesce a comporre un disegno personalissimo e  stilisticamente inconfondibile.
Ma per tornare al laboratorio del Canzoniere, alle sue finalità e al suo itinerario, non possiamo concludere questa digressione senza sottolineare che il Petrarca inizia ad ordinare l’opera e la termina con la convinzione d’aver fallito il proprio scopo, di non aver compiuto quel percorso salvifico dalla terra al cielo che avrebbe voluto, perché come nel I sonetto introduttivo (Voi ch’ascoltate) dichiara di rendersi conto di aver vaneggiato e di vergognarsi e pentirsi, così in uno degli ultimi sonetti (CCCLXIV) afferma che dopo essere stato per ventun anni prigioniero dell’amore, è pentito degli anni spesi in tal modo. Confrontiamo le due composizioni:


Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond’io nutriva il core
In sul mio primo giovanile errore
Quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono:

del vario stile in ch’io piango e ragiono,
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia che per prova intenda amore,
spero trovar pietà, non che perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di  me medesimo meco mi vergogno,

e del mio vaneggiar vergogna è il frutto
e ‘l pentersi, e conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

La condizione di fondo è di spietata critica verso se stesso, sia per il tempo speso nel vaneggiare dietro un amore irraggiungibile che ha caratterizzato la sua giovinezza, bollata come “errore” totale, sia per lo stile “ vario” in cui ha espresso il suo pianto e i suoi sospiri. Il poeta, in sostanza, qui si mostra scontento di tutto, della vita e della misura stilistica realizzata, non conforme alla sua ambizione di produrre uno stile unitario, omogeneo, equilibrato e non certamente “vario” come invece gli appare il proprio. Inoltre qui si parla di vergogna, di vaneggiamenti, di pentimento, per poi arrivare all’affermazione finale, pregna di senso di precarietà, quanto piace al mondo è breve sogno, in cui c’è lo spirito petrarchesco più vero, la sua autentica concezione della vita e la sua impotenza a realizzare il fine proposto, vale a dire il raggiungimento del cielo e del divino. L’itinerariun mentis in Deum, che era stato tanto naturale per Dante, per Petrarca fu impossibile, per la natura stessa del mondo e dell’uomo, misera, caduca e illusoria.
Non è distante dal tono di questa lirica, il sonetto CCCLXIV a cui abbiamo accennato:

Tenemmi Amor anni ventuno ardendo
lieto nel foco e nel duol pien di speme;
poi che madonna e ‘l mio cor seco inseme
saliro al ciel, dieci altri anni piangendo;

omai son stanco e mia vita reprendo
di tanto error, che di vertute il seme
à quasi spento, e le mie parti estreme,
alto Dio, a te devotamente rendo,

pentito e tristo de’ miei spesi anni;
che spender si deviano in miglior uso,
in cercar pace ed in fuggir affanni.

Signor, che ‘questo carcer m’ài rinchiuso
tramene salvo da li eterni danni,
ch’i conosco ‘l mio fallo e non lo scuso.

E’ un’altra condanna della sua vita, spesa dietro all’amore inutilmente, ora più che mai deprecabile, perché la morte della donna amata ha definitivamente vanificato le sofferenze di tanti anni, spesi nell’errore. Torna quindi il pentimento e l’unico spiraglio di fede che rimane al poeta lo induce a rimettersi al perdono di Dio, ma non si creda che questo sia un atto di fede tout court, sebbene alla sua base ci sia una volontà precisa, è piuttosto un abbandono momentaneo, simile a quello che caratterizza le motivazioni della Canzone alla Vergine, che chiude il Canzoniere, intrisa di sentimenti di pietà e di buoni propositi, quali si addicono ad un devoto infedele, perennemente in guerra con se stesso. L’invocazione alla madre di Dio, perché soccorra alla sua “guerra” (v. 12), e ponga fine all’ implacabile dissidio interiore che non gli ha dato mai tregua, è ancora una volta un atto di auto accusa, ma anche di auto compianto:

Da poi ch’i nacqui in su la riva d’Arno,
cercando or questa ed or quell’altra parte,
non è stata mia vita altro ch’affanno;
mortal bellezza, atti e parole m’anno
tutta ingombrata l’alma.

L’allusione all’“ingombro” dell’anima, è quanto di più preciso potesse dire il poeta riguardo al suo stato e alla sensazione di peso e di fastidio che lo ha contraddistinto per tutta la durata della sua infelice storia amorosa. Ormai la rimembranza non lo aiuta, né lo sostiene, ogni ricordo è svaporato, cancellato dal presentimento della morte (sol morte n’aspetta ,v.91……il dì s’appressa e non pote esser lunge, v.131), persino l’oblio non c’è più.
Resta la certezza della fugacità della vita e del tempo ( sì corre il tempo e vola, v.132), che fu e si conferma il tema più autentico del Petrarca, il tema che fece di lui un poeta moderno.

*Anna Maria Vanalesti, critico letterario, è stata dirigente scolastico. E' autrice di una importante Storia della Letteratura Italiana. E' Presidente dell'Associazione Culturale di Ostia Lido "Il leggio del mare".