venerdì 16 maggio 2014

Testi di Rino Malinconico, Paolo Borzi, Luciana Gravina

Rino Malinconico
La canzone dei sogni
 

Quando il furor s’acquieta nella sera
e fra le coltri il corpo si distende
un varco s’apre dentro al cor che spera
quasi una luce che dall’alto scende
un canto quasi di bellezza austera
che l’incupìr del giorno in chiaro rende.
E’ tempo allora che la mente voli
e la nave dei sogni lasci i moli.

M’immergo in molti spazi interminati
per storie nuove dal sapore antico
tra gesti e detti in strada raccattati.
Imprese grandi sotto il sole aprico
e deserti d’Arabia attraversati
talor in trono ed ora appen mendico.
Ed è una corsa madida di umori
di fuochi accesi colmi di colori.

Son fole? Certo. Informi trasognate
figure di passaggio nella notte
già quasi in pianto e con le mani alzate.
Vengono addosso con le voci rotte
con la stanchezza di parole usate
a comandar che cessino le lotte
e che si stenda l’alma per intero
sopra il giaciglio ugual di falso e vero.

Così ad occhi aperti m’incammino
lungo i sentieri della fantasia
dove l’incerto al certo è più vicino
ed ogni suono volge in armonia
siccome un gioco in mano ad un bambino
quando l’incanto rapido s’avvia.
Il mondo resta fuori col suo affanno
e tutto si dispone al dolce inganno.

Dilegueranno i sogni all’alba, eppure
nel confuso dell’eco vincitori
restano in scena in splendide armature.
E la commedia umana degli amori
delle disfide e delle voglie impure
delle battaglie perse e dei dolori
veleggia col pensiero nuovamente
dentro il mio mare immobile e lucente. 
20 febbraio 2014




Le ottave di Paolo Borzi

Ottava visionaria distopica da: 
“Gli Arconti Invisibili di Zebràs” 
in Nuovostilvecchio

Era Zebràs nel Grande Obbrobrio sita
di Settentrione: il posto più inquinato
tra quelli visti in questa od altra vita.
Dentro alle mura non rideva prato;
nemmeno una speranza è mai fiorita.
Ma mai nessuno lì s’ è suicidato
dacché comparve il dio Polifotone:
Bestia a metà, e metà televisione.

Ottava sentimentale da: “Io canto di Beatrice” in  Nuovostilvecchio

Ti porto gli otto versi, otto sospiri, 
uno spezzato perchè troppo è quanto 
 amica mia stupenda Tu m’ispiri. 
Ti porto in otto scale il quanto e il tanto 
che il canto non può dire, e gli otto giri
su un porto senza porto. Porto e canto
 la gioia perchè esisti e mi conquisti, 
e spiri...questi versi allegri e tristi.


Ottava epicamente introduttiva,: da “la Materia di Britannia”, Tavola di Merlino.

Si canta qui in ottave del profeta
che mise in viaggio Ulisse, non per Sale,
ma per gli abissi interni del pianeta.
Del remo fece Spada inflitta al Male,
estratta poi da un sasso fatto creta
da un Perdente invincibile: un regale
discepolo, sottratto a cure urbane
per farne il Re delle leggende umane.


Ottava d’azione epica, con molte rime interne: Lancillotto e il Cavaliere Nero, da “la Materia di Britannia”, Tavola d’Amore


Il Bianco e il Nero sono faccia a faccia;
non sa ser Lancillotto se è una Prova,
un gioco speculare che dispiaccia
o piaccia, hai da capire cosa cova
sotto un mistero; o se era preda in caccia
d’un beffatore in nero, che ci prova
a irriderti per poi fregarti dopo,
facendo come il gatto con il topo.



Poesia narrativa di Luciana Gravina
Elegia per Colonia

1
D'autunno la città lo attende che tracimi di biondo,
il Reno, proprio il Reno, lento macina la città annicchiata
nella storia. Abbiamo portato passi curiosi sugli urssprung
ipocriti, così pronti a smottare, ora che è autunno e che
anche qui (banalmente detto) cadono le foglie gialle nel
parco e assediano Guglielmo Secondo sul cavallo
di bronzo a fare l'inutile eroe di un freddo che sta per venire e che
non è più che a Firenze o a Milano ma che per loro è 
"quaggiù", perché l'inferno è sempre sotto come tra questi
invisti muri alti che le parole non attraversano
migranti (così li chiamano adesso) come gli uccelli
migratori, vengono e vanno, hanno anche amici deutsch, ma
è tutto lì, nella probabile straprevedibile sera.

2
Nella suite, in agguato l'abbiamo trovata, nella suite
royal, hotel Koln, ultimo piano, oltre la finestra esangue,
algida, la cattedrale nera di nervosa pazienza, la signora
infilzata nell'inguine della notte, nerasfiancata,
di un destino a lungo covato. L'abbiamo sorpresa a guardia
di una repressa luna tedesca, calante d'un pieno
mancante di spicchio, la superba, la frigida, cocciuta
cattedrale ai cui piedi la città lecchina ricama un'ombra
sbordata. Cosicché nel buio, del tutto sprofilati,
infiliamo parole per toccarci (Albertustrasse, passeggiata
nel pomeriggio, preme recente e la gallerista rossa parla
spagnolo con gli Italiani), ora che la cattedrale ci sorveglia
nera appunto, e in agguato, svelta ad avvelenare
l'ambra di che si ama anche a ritroso, perché è un cuneo tossico
nel nontempo di questa tedesca notte bastarda.

3
Il gomito di Franz per tutta la sera,rintanato
nella manica nera di pelle nera, ha vibrato all'unisono
col mio dirimpettaio. Come se niente 
fosse, ancorati allo sfioro, parlano, come se
niente. Il nostro tavolo naviga in fumo folto, ho la testa nel
sauerbraten, la candita sul purè di mele è rossa (ciliegia,
credo), ho voglia di stagnare col succo di mirtilli sul manzo
stracotto. Le parole, non più di tante, vanno e tornano e vanno
dicono di un male che non passa per voce. Perché qui il sole
è diverso e il cameriere sguscia veloce, beve ogni ultimo
bicchiere del kurbis e le parole ci tramano una rete esangue perché
le voci vanno e vengono e non restano. Ce ne siamo andati a tarda
quando la furia da esilio era ormai sblenda e nel gomito
a gomito il veleno era appaciato in vista di un assolo per
placare la notte. A notte tarda ce ne siamo andati, con l'odore
dell'amore tra uomini, ce ne siamo. Tagliati nel fumo
della birreria, tutti insieme come uccelli migratori.

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